I criteri di Freye e di Daubert nel panorama della prova scientifica

I criteri di Freye e di Daubert nel panorama della prova scientifica:

Casi di cronaca come quello di Yara Gambirasio, dimostrano come l’andamento di un giudizio può assumere una direzione piuttosto che un’altra sulla base di un semplice test del DNA; l’importanza che oggigiorno la prova scientifica assume nelle aule dei tribunali è assolutamente indiscutibile.

 

Il processo penale è giunto ormai ad un punto di svolta: non è più il processo della prova dichiarativa (la c.d. prova specifica) ma è il processo della prova scientifica, con tutto ciò che ne consegue. Oggi si ragiona con ”l’informazione” e non più con l’argomentazione. E, se nella prova dichiarativa il maggior ostacolo è il dolo, in quella scientifica il rischio più grande è l’errore nell’acquisizione della prova mediante pratiche e procedimenti complessi e notevolemente sofisticati.

Sicuramente la prova scientifica arriva là dove la prova dichiarativa non può neppure sperare. Permette quindi di riaprire “cold cases” e riduce decisamente il numero di casi irrisolti per mancanza di indizi (come ad esempio furti in appartamento).

Ciò nonostante, la new scientific evidence mostra un lato oscuro.

E’ innanzitutto complicata: e questo la porta lontano dalla conoscenza del giudice, abituato a lavorare su prove dichiarative, preparato a cercare il dolo nelle dichiarazioni, e non a identificare l’errore nell’ iter logico-scientifico.

Inoltre essa sovente è la prova decisiva del giudizio, determina l’esito del processo in un senso piuttosto che in un altro. È costosa e applicabile su larga scala. Ma, soprattutto, queste nuove prove sono dibattute e mutano rapidamente. E, se la scienza è sempre in movimento e cambia continuamente, il processo è lento e inesorabilmente si trova  sempre un passo indietro rispetto ad essa.

Qual è quindi il significato in termini di impatto sul processo penale? Si è detto che la new scientific evidence è costosa. Se ne deduce quindi che la conoscenza scientifica non è accessibile a tutti. E così si verificheranno casi “privilegiati” in cui si ricorrerà a prove scientifiche, e casi “non privilegiati” di difficile, se non impossibile, soluzione. Tale situazione si traduce nella limitazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale e del carattere democratico del processo penale.

Anche la cross-examination viene disorientata. Gli operatori del diritto non hanno le conoscenze necessarie per poter mettere in difficoltà un esperto nel campo (per esempio del DNA) con la conseguenza che non avrà altra soluzione che affidarsi a consulenti e periti. Perciò un contraddittorio orale non ha più ragione d’esistere, poiché il conflitto si svolgerà mediante consulenze scritte e memorie di replica. Parlare di contraddittorio scritto  è  però una contraddizione in termini.

Quando poi il giudice giungerà ad una decisione, non si limiterà esclusivamente ad una motivazione “per relationem: la stessa decisione sarà “per relationem, in quanto appunto non ha le conoscenze necessarie per poter decidere autonomamente.

L’art. 220 co. 1 c.p.p. sanscisce: “La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche”. Ma in considerazione di  queste valutazioni, qual è il ruolo del giudice?

Iniziamo dal dibattito giuridico nel sistema statunitense. Una prima sentenza fondamentale nell’ambito della questione fu la Freyepronunciata nel 1923 dalla Court of Appeals for the District of Columbia in merito all’ammissibilità di una primitiva versione del poligrafo (cioè della macchina della verità) basata sulla valutazione della pressione arteriosa del soggetto, richiesta dall’imputato accusato di omicidio. La corte rigettò la richiesta di ammissione del mezzo di prova in quanto, rivolgendosi alla comunità scientifica, risultò che questa tecnica non avesse ancora raggiunto un sufficiente grado di accettazione da parte degli esperti: non era quindi affidabile. La Corte stabilì così il primo criterio di ammissibilità della prova scientifica usato per i successivi settant’anni: la “general acceptance”.

Questo criterio fu superato nel 1993 con la sentenza DaubertIl caso riguardava un farmaco contro le nausee della gravidanza prodotto dalla Merrell Dow Pharmaceuticals, sospettato di aver provocato gravi malformazioni ai feti delle donne che lo avevano assunto. I genitori dei bambini malformati avevano chiesto di assumere la testimonianza di esperti i quali, reinterpretando i dati relativi al farmaco, erano giunti alla conclusione opposta a quella della Merrel Dow: i farmaci in questione erano molto pericolosi. Lo studio, però, era avvenuto utilizzando metodologie recenti, ancora non accettate dalla generalità della comunità scientifica. La Merrel Dow allora richiamò nella sua difesa lo standard Freye, ma la Corte Suprema preferì rifarsi alla “regola 702” concernente l’ammissione della testimonianza esperta, disponendosi favorevolmente verso l’accettabilità dello studio di cui sopra.

La Corte però non si limitò ad applicare la regola 702, ma adottò anche altri principi per stabilire l’ammissibilità delle teorie presentate dagli esperti dell’accusa. Il ruolo del giudice viene quindi ridefinito: egli deve stabilire ciò che può e ciò che non può entrare nel processo. E lo deve fare sulla base di quattro criteri:

  • Controllabilità empirica della teoria;
  • Sottoposizione della teoria ad una revisione critica da parte degli esperti di settore (peer review publication);
  • Percentuale di erroreattribuito alla teoria;
  • Widespread acceptance.

A partire dalla sentenza Daubert del 1993, l’ammissibilità della prova scientifica nel sistema americano viene valutata sulla base di questi quattro standard. Ma valgono anche in Italia?

La risposta è sicuramente affermativa  dal momento che si tratta di criteri di razionalità e come tali adottabili senza limiti territoriali. Si rendono indispensabili, tuttavia, degli adattamenti dovuti ad un’importante differenza tra ordinamento italiano ed ordinamento americano: in America i criteri Daubert sono criteri di ammissibilità della prova. In Italia l’ammissibilità viene decisa sulla base degli artt. 188 e 189 c.p.p. : si tratta, invece, di criteri di valutazione della prova. Si deve guardare alla prova scientifica, dunque, ponendosi dalla prospettiva degli artt. 192 e 546 c.p.p., non essendo i criteri Daubert nulla di diverso dagli “indizi gravi, precisi e concordanti richiamati dalle norme procedurali.

Constatiamo, così, che i criteri della testabilità e della “review and publication” possono essere tranquillamente ricavati dal nostro principio del contraddittorio. Il calcolo dell’”error rate” si combina col principio del ragionevole dubbio, che impone sempre di valutare le alternative. Bisogna fare attenzione invece per la “widspread acceptance” che funziona come criterio di ammissibilità della prova nel sistema americano. Da noi è considerata criterio di valutazione. Questo significa che è richiesta  solo se la prova scientifica è l’unico o il principale indizio a carico dell’indiziato. In caso contrario, la prova viene ammessa anche se controversa nel mondo scientifico proprio perché poi sarà il giudice ad attribuirle un peso più o meno incisivo a seconda della sua ritenuta attendibilità.

È questa la differenza rispetto al sistema statunitense: un giudice americano rigetta immediatamente una prova controversa; un giudice italiano la ammette e poi la valuta. Ma quella prova, per quanto possa essere controversa, avrà sempre un seppur minimo peso nel processo.

Per concludere, quando si parla di prove scientifiche nel processo penale, è necessario ricordare che anche esse sono fallibili e pertanto possono dar luogo ad errori giudiziari. Compito del giudice, dunque, non è stabilire ciò che è scienza e ciò che non lo è, perché questo è un compito che spetta agli scienziati. Deve semplicemente stabilire che cosa può entrare nel processo. E lo deve fare non valutando l’attendibilità scientifica della prova (il giudice deve fare il giudice e non lo scienziato) ma la correttezza dei procedimenti adoperati sulla base dei criteri Daubert. Deve essere non peritus peritorum ma, come suggerisce Iacoviello, iudex peritorum.

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